Ottavio Bianchi, ex allenatore del Napoli, ha rilasciato un'intervista a La Gazzetta dello Sport: “Sono nato a Brescia, vivo a Bergamo da 50 anni, ma la vera lezione di vita l’ho ricevuta a Napoli: 13 anni, prima giocatore e poi allenatore. Napoli è bellezza, gioia. Sono stato bene perché i napoletani mi hanno accettato, non hanno cercato di cambiarmi".
Tecnico del primo scudetto, di una Coppa Italia e della Coppa Uefa. Nessun allenatore, a Napoli, ha vinto quanto lei. Però molti dicono: lo scudetto di Maradona. Solo Diego?
"Lo abbiamo vinto insieme. C’erano anche Bagni e Ciro Ferrara, c’era “anche” il collettivo e l’organizzazione di gioco. Diego in campo, è inutile che lo dica io, era una leggenda del calcio, molto diverso da come lo dipingevano. Quando lo prendevi da solo era un bravissimo ragazzo, bello da vedere e da allenare. Dicevano tutti che non lavorava, ma non era vero, perché Diego usciva per ultimo e restava per inventare le punizioni. Purtroppo era circondato da una pressione che nessuno penso fosse in grado di sostenere. Fuori non l’ho mai giudicato, non l’ho fatto con nessuno. In campo era una gioia allenarlo”.
di Napoli Magazine
17/04/2025 - 12:47
Ottavio Bianchi, ex allenatore del Napoli, ha rilasciato un'intervista a La Gazzetta dello Sport: “Sono nato a Brescia, vivo a Bergamo da 50 anni, ma la vera lezione di vita l’ho ricevuta a Napoli: 13 anni, prima giocatore e poi allenatore. Napoli è bellezza, gioia. Sono stato bene perché i napoletani mi hanno accettato, non hanno cercato di cambiarmi".
Tecnico del primo scudetto, di una Coppa Italia e della Coppa Uefa. Nessun allenatore, a Napoli, ha vinto quanto lei. Però molti dicono: lo scudetto di Maradona. Solo Diego?
"Lo abbiamo vinto insieme. C’erano anche Bagni e Ciro Ferrara, c’era “anche” il collettivo e l’organizzazione di gioco. Diego in campo, è inutile che lo dica io, era una leggenda del calcio, molto diverso da come lo dipingevano. Quando lo prendevi da solo era un bravissimo ragazzo, bello da vedere e da allenare. Dicevano tutti che non lavorava, ma non era vero, perché Diego usciva per ultimo e restava per inventare le punizioni. Purtroppo era circondato da una pressione che nessuno penso fosse in grado di sostenere. Fuori non l’ho mai giudicato, non l’ho fatto con nessuno. In campo era una gioia allenarlo”.