È un viaggio poetico e feroce nel cuore fragile della provincia italiana Ginestre il nuovo spettacolo scritto da Elvira Buonocore e diretto da Gennaro Maresca, che debutterà, giovedì 27 novembre 2025 alle ore 20.30 (in replica fino a domenica 30) al Teatro Elicantropo di Napoli.
Presentato da B.E.A.T. Teatro, Ginestre nasce come una lente ravvicinata sulla provincia italiana, sulle sue pieghe più dure e genuine, sugli interni domestici dove il tempo scorre con una densità antica.
È qui, nel retrobottega di un piccolo negozio, che vivono Consiglia e Felicia (detta Licia), due sorelle che condividono un’esistenza sospesa, fatta di gesti ripetuti, di riti quotidiani che sembrano scongiuri, di complicità e prigionia. Il loro mondo è un microcosmo fragile, che si incrina sotto il peso di un paesaggio che frana, simbolicamente e realmente.
A dar corpo a questa storia ci sono Stefania Remino e Alessia Santalucia, interpreti che restituiscono con delicatezza e crudezza il legame profondo e irrisolto tra le due protagoniste. Attorno a loro, un impianto scenico che non vuole soltanto mostrarsi, ma respirare con la storia, attraverso le luci a cura di Francesco O. De Santis, la scenografia di Sara Palmieri, realizzata da Paolo Iammarrone e Vincenzo Fiorillo, i costumi di Siria Bossone e le musiche originali di Vincenzo Romano.
Lo spettacolo è liberamente ispirato all’alluvione di Sarno del 1998, evento tragico che ha segnato profondamente l’immaginario campano e non solo, ma qui la catastrofe non è soltanto un fatto storico. Diventa metafora, memoria che si incarna, “aria strana” che preannuncia non solo il fango, ma il collasso emotivo e l’inadeguatezza del presente.
Il risultato è una narrazione che intreccia infanzia e vecchiaia, gioco e tragedia, sorellanza e sopravvivenza. Un poema teatrale che racconta la resistenza delle vite minori, quelle che non finiscono nei titoli dei giornali, ma restano incise nei racconti familiari, nei silenzi, nei gesti ripetuti per non soccombere.
Ginestre racconta una resistenza minima e potentissima: quella di chi, anche quando tutto intorno sembra franare, continua a fare i conti con il mondo, con la propria storia, con ciò che resta.
Uno spettacolo che parla della provincia, delle famiglie, dei legami che ci tengono uniti e a volte ci soffocano. Parla della paura, della sopravvivenza, della forza che si trova nel rimanere in piedi, “nonostante il fango”.
Ginestre di Elvira Buonocore
27 > 30 novembre 2025, Teatro Elicantropo Napoli - Vico Gerolomini, 3
Spettacoli ore 20.30 (dal giovedì al sabato), ore 18.00 (domenica)
Giovedì 27 ? domenica 30 novembre 2025
Teatro Elicantropo Napoli
(da giovedì a sabato ore 20.30, domenica ore 18.00)
B.E.A.T. Teatro
presenta
Ginestre
di Elvira Buonocore
con
Stefania Remino e Alessia Santalucia
disegno luci Francesco O. De Santis
scenografia Sara Palmieri
costumi Siria Bossone
musiche Vincenzo Romano
assistente alle scene Alessandra Avitabile
realizzazione scene Paolo Iammarrone e Vincenzo Fiorillo
regia Gennaro Maresca
Sinossi
Ginestre è un viaggio poetico e feroce nel cuore della provincia italiana, tra detersivi e detriti, sorellanza e reclusione. Consiglia e Felicia detta Licia: due donne, chiuse nel retrobottega di un negozio, resistono a un mondo che frana, letteralmente e simbolicamente.
I loro gesti quotidiani si mescolano a riti familiari ossessivi, in un tempo che si dilata tra infanzia e vecchiaia, tra gioco e tragedia. È l'asprezza di un luogo chiuso che prova a fare i conti con la modernità senza mai riuscirci, è il peso di un tempo fermo, di un'aria strana come quella prima di una frana. È l'epopea di una resistenza.
Ispirato all’alluvione di Sarno del 1998, lo spettacolo intreccia memoria collettiva e fragilità individuale, trasformando il paesaggio in metafora emotiva. Una riflessione potente sulla vulnerabilità, sulla sopravvivenza, sul restare in piedi nonostante il fango.
Note dell’autrice
1998. Periferia del sud Italia. È un maggio strano. Piove da cinque giorni. Un’acqua imperterrita laddove avrebbe dovuto esserci primavera. Non un fiore, non un raggio di sole. Non c’è margine per uscire, l’inverno si protrae. Soltanto il tempo, dilatatosi nell’ora legale, ha allungato le giornate, così da concedere ancora più spazio, più luce a quella pioggia incessante.
Due sorelle vivono nel retrobottega del negozio di detersivi “Le Ginestre”. Donnine di età incerta, alternano attimi di vecchiaia a momenti di soave giovinezza. La vendita dei prodotti per la casa si fonde coi giochi di infanzia, coi gesti tipici dell’adolescenza. Tutto è vetrina e clausura.
Una di loro, la più piccola e più anziana, una neonata-adolescente che parla, riflette e ragiona, ha un passatempo tutto personale: guardare i video delle grandi cerimonie di famiglia. Compleanni, prime comunioni, anniversari, matrimoni, battesimi, ricorrenze inventate. Come una serie tv che non finisce ma si aggiorna assieme alla vita, il loop cerimoniale rappresenta l’unica forma di intrattenimento nella sua vita quasi reclusa.
Torniamo alla provincia, al margine di una regione. Torniamo ad una casa che è anche un’attività. Torniamo ad una vita che è anche mestiere, ad una esposizione che è anche un nascondiglio permanente. Torniamo al legame parentale che supera sé stesso e va oltre. Sorelle che sono amiche, che sono serve, che sono odiose antagoniste, che sono acidità pura. Elemento di natura.
Torniamo ad un clima ostile, ad un mondo che insorge. Ma questa volta lo dichiariamo apertamente. Questo lavoro parte da un’esperienza collettiva, l’alluvione che il 5 maggio 1998 ha colpito il comune di Sarno e le limitrofe zone di Quindici, Siano, Bracigliano e San Felice a Cancello, causando la morte di 160 persone. Un evento profondamente radicato in queste aree, a quasi trent’anni di distanza.
La provincia è di nuovo attenzionata, di nuovo siamo oggetto di interesse. Ma per cosa? Un’ondata di fango e detriti, tre lingue di terra che scivolano inesorabili dalla montagna e ci prendono tutti alle spalle. I rubinetti danno acqua marrone. Le scuole sono chiuse. Le due donne vivono a livello della strada. Sono esposte. Vulnerabili.
La vulnerabilità è il grado di perdita prodotto su un elemento o su una serie di elementi esposti a rischio, risultante dal verificarsi di un evento dannoso di una intensità data. Un indicatore geologico prima ancora che umano. Vulnerabilità è esposizione a un rischio. A un crollo. A una frana. Il paesaggio fisico qui diventa rappresentativo, metafora di uno stato emotivo. Il nostro. Lo stesso paesaggio che ci ha cresciuti si erode giorno dopo giorno, restituendoci al suo posto un mare di fango. Stare al mondo vuol dire stare nella frattura, in quella degradazione. Vuol dire essere esposti a un alto grado di vulnerabilità. Questo il punto di partenza per raccontare un frammento di umanità che si sgancia un attimo dal crollo e viene a parlarci.
Note del regista
Quando la catastrofe poteva avvenire a casa nostra. Poteva franare la terra sul nostro tetto, poteva tremare a sangue casa tua, poteva prendersela con te il fiume, affogare te, i tuoi cari, senza tenere conto di niente. Così. Superiore. Dolcenera senza cuore.
È la natura che ci governa, è la malaciorta, Dio in collera per il degrado, è la politica e le istituzioni, la differenza sostanziale tra la vittima inconsapevole e il potere, che tutto controlla e che tutto (catastrofi comprese) dovrebbe prevenire.
Un flusso di ovvietà e forzature di cui i media moderni si cibano restituendoci il dolore spettacolarizzato.
Ginestre è il tentativo poetico di fare memoria, di considerare la persona quale testimone di tempo e di spazio. Spazio rubato, dismesso, violentato. Spazio reale, del corpo; spazio emotivo, dello spirito. Ognuno in continua espansione. Grotteschi e struggenti segni di passaggio.
di Napoli Magazine
22/11/2025 - 14:10
È un viaggio poetico e feroce nel cuore fragile della provincia italiana Ginestre il nuovo spettacolo scritto da Elvira Buonocore e diretto da Gennaro Maresca, che debutterà, giovedì 27 novembre 2025 alle ore 20.30 (in replica fino a domenica 30) al Teatro Elicantropo di Napoli.
Presentato da B.E.A.T. Teatro, Ginestre nasce come una lente ravvicinata sulla provincia italiana, sulle sue pieghe più dure e genuine, sugli interni domestici dove il tempo scorre con una densità antica.
È qui, nel retrobottega di un piccolo negozio, che vivono Consiglia e Felicia (detta Licia), due sorelle che condividono un’esistenza sospesa, fatta di gesti ripetuti, di riti quotidiani che sembrano scongiuri, di complicità e prigionia. Il loro mondo è un microcosmo fragile, che si incrina sotto il peso di un paesaggio che frana, simbolicamente e realmente.
A dar corpo a questa storia ci sono Stefania Remino e Alessia Santalucia, interpreti che restituiscono con delicatezza e crudezza il legame profondo e irrisolto tra le due protagoniste. Attorno a loro, un impianto scenico che non vuole soltanto mostrarsi, ma respirare con la storia, attraverso le luci a cura di Francesco O. De Santis, la scenografia di Sara Palmieri, realizzata da Paolo Iammarrone e Vincenzo Fiorillo, i costumi di Siria Bossone e le musiche originali di Vincenzo Romano.
Lo spettacolo è liberamente ispirato all’alluvione di Sarno del 1998, evento tragico che ha segnato profondamente l’immaginario campano e non solo, ma qui la catastrofe non è soltanto un fatto storico. Diventa metafora, memoria che si incarna, “aria strana” che preannuncia non solo il fango, ma il collasso emotivo e l’inadeguatezza del presente.
Il risultato è una narrazione che intreccia infanzia e vecchiaia, gioco e tragedia, sorellanza e sopravvivenza. Un poema teatrale che racconta la resistenza delle vite minori, quelle che non finiscono nei titoli dei giornali, ma restano incise nei racconti familiari, nei silenzi, nei gesti ripetuti per non soccombere.
Ginestre racconta una resistenza minima e potentissima: quella di chi, anche quando tutto intorno sembra franare, continua a fare i conti con il mondo, con la propria storia, con ciò che resta.
Uno spettacolo che parla della provincia, delle famiglie, dei legami che ci tengono uniti e a volte ci soffocano. Parla della paura, della sopravvivenza, della forza che si trova nel rimanere in piedi, “nonostante il fango”.
Ginestre di Elvira Buonocore
27 > 30 novembre 2025, Teatro Elicantropo Napoli - Vico Gerolomini, 3
Spettacoli ore 20.30 (dal giovedì al sabato), ore 18.00 (domenica)
Giovedì 27 ? domenica 30 novembre 2025
Teatro Elicantropo Napoli
(da giovedì a sabato ore 20.30, domenica ore 18.00)
B.E.A.T. Teatro
presenta
Ginestre
di Elvira Buonocore
con
Stefania Remino e Alessia Santalucia
disegno luci Francesco O. De Santis
scenografia Sara Palmieri
costumi Siria Bossone
musiche Vincenzo Romano
assistente alle scene Alessandra Avitabile
realizzazione scene Paolo Iammarrone e Vincenzo Fiorillo
regia Gennaro Maresca
Sinossi
Ginestre è un viaggio poetico e feroce nel cuore della provincia italiana, tra detersivi e detriti, sorellanza e reclusione. Consiglia e Felicia detta Licia: due donne, chiuse nel retrobottega di un negozio, resistono a un mondo che frana, letteralmente e simbolicamente.
I loro gesti quotidiani si mescolano a riti familiari ossessivi, in un tempo che si dilata tra infanzia e vecchiaia, tra gioco e tragedia. È l'asprezza di un luogo chiuso che prova a fare i conti con la modernità senza mai riuscirci, è il peso di un tempo fermo, di un'aria strana come quella prima di una frana. È l'epopea di una resistenza.
Ispirato all’alluvione di Sarno del 1998, lo spettacolo intreccia memoria collettiva e fragilità individuale, trasformando il paesaggio in metafora emotiva. Una riflessione potente sulla vulnerabilità, sulla sopravvivenza, sul restare in piedi nonostante il fango.
Note dell’autrice
1998. Periferia del sud Italia. È un maggio strano. Piove da cinque giorni. Un’acqua imperterrita laddove avrebbe dovuto esserci primavera. Non un fiore, non un raggio di sole. Non c’è margine per uscire, l’inverno si protrae. Soltanto il tempo, dilatatosi nell’ora legale, ha allungato le giornate, così da concedere ancora più spazio, più luce a quella pioggia incessante.
Due sorelle vivono nel retrobottega del negozio di detersivi “Le Ginestre”. Donnine di età incerta, alternano attimi di vecchiaia a momenti di soave giovinezza. La vendita dei prodotti per la casa si fonde coi giochi di infanzia, coi gesti tipici dell’adolescenza. Tutto è vetrina e clausura.
Una di loro, la più piccola e più anziana, una neonata-adolescente che parla, riflette e ragiona, ha un passatempo tutto personale: guardare i video delle grandi cerimonie di famiglia. Compleanni, prime comunioni, anniversari, matrimoni, battesimi, ricorrenze inventate. Come una serie tv che non finisce ma si aggiorna assieme alla vita, il loop cerimoniale rappresenta l’unica forma di intrattenimento nella sua vita quasi reclusa.
Torniamo alla provincia, al margine di una regione. Torniamo ad una casa che è anche un’attività. Torniamo ad una vita che è anche mestiere, ad una esposizione che è anche un nascondiglio permanente. Torniamo al legame parentale che supera sé stesso e va oltre. Sorelle che sono amiche, che sono serve, che sono odiose antagoniste, che sono acidità pura. Elemento di natura.
Torniamo ad un clima ostile, ad un mondo che insorge. Ma questa volta lo dichiariamo apertamente. Questo lavoro parte da un’esperienza collettiva, l’alluvione che il 5 maggio 1998 ha colpito il comune di Sarno e le limitrofe zone di Quindici, Siano, Bracigliano e San Felice a Cancello, causando la morte di 160 persone. Un evento profondamente radicato in queste aree, a quasi trent’anni di distanza.
La provincia è di nuovo attenzionata, di nuovo siamo oggetto di interesse. Ma per cosa? Un’ondata di fango e detriti, tre lingue di terra che scivolano inesorabili dalla montagna e ci prendono tutti alle spalle. I rubinetti danno acqua marrone. Le scuole sono chiuse. Le due donne vivono a livello della strada. Sono esposte. Vulnerabili.
La vulnerabilità è il grado di perdita prodotto su un elemento o su una serie di elementi esposti a rischio, risultante dal verificarsi di un evento dannoso di una intensità data. Un indicatore geologico prima ancora che umano. Vulnerabilità è esposizione a un rischio. A un crollo. A una frana. Il paesaggio fisico qui diventa rappresentativo, metafora di uno stato emotivo. Il nostro. Lo stesso paesaggio che ci ha cresciuti si erode giorno dopo giorno, restituendoci al suo posto un mare di fango. Stare al mondo vuol dire stare nella frattura, in quella degradazione. Vuol dire essere esposti a un alto grado di vulnerabilità. Questo il punto di partenza per raccontare un frammento di umanità che si sgancia un attimo dal crollo e viene a parlarci.
Note del regista
Quando la catastrofe poteva avvenire a casa nostra. Poteva franare la terra sul nostro tetto, poteva tremare a sangue casa tua, poteva prendersela con te il fiume, affogare te, i tuoi cari, senza tenere conto di niente. Così. Superiore. Dolcenera senza cuore.
È la natura che ci governa, è la malaciorta, Dio in collera per il degrado, è la politica e le istituzioni, la differenza sostanziale tra la vittima inconsapevole e il potere, che tutto controlla e che tutto (catastrofi comprese) dovrebbe prevenire.
Un flusso di ovvietà e forzature di cui i media moderni si cibano restituendoci il dolore spettacolarizzato.
Ginestre è il tentativo poetico di fare memoria, di considerare la persona quale testimone di tempo e di spazio. Spazio rubato, dismesso, violentato. Spazio reale, del corpo; spazio emotivo, dello spirito. Ognuno in continua espansione. Grotteschi e struggenti segni di passaggio.